Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 Settembre e aprile sono i mesi giusti per preparare i missoltini. Io li ho visti a giugno, ma erano già belli essiccati. I Missoltini o Missultit sono una specialità davvero curiosa. Gli agoni, lontani parenti delle cheppie - pesci di mare - e rimasti intrappolati nei laghi alpini alla fine dell'ultima glaciazione,vengono pescati con grosse reti, puliti e messi sotto sale per 48 ore, poi lavati e letteralmente stesi e appesi a lunghi fili. Rimangono così a seccare per alcuni giorni e poi vengono infilati uno alla volta in un bacino insieme con un po' di alloro. Torchiati e pressati per cinque mesi, poi scolati, sono pronti per essere appena scaldati, conditi con un pizzico di olio e aceto e mangiati. Una ricetta antica, che risale almeno a quando i freezer non erano ancora di questo mondo, e il sale era la salvezza dalla putrefazione. A prepararli è Ceko, pescatore e lecchese doc. Un amore iniziato a sette anni, seguendo le orme del padre e ripreso, dopo una parentesi come operaio, con il figlio e la moglie. Qui sì che c'è da stare con la testa bassa. Il lavoro è continuo. Alle 4 di pomeriggio si stendono le reti che poi vengono messe nel lago, poi si fa il giro per consegnare il pesce della giornata. La mattina alle 3 è l'ora di andare a controllare il lavoro delle reti e tirare su il pesce, portarlo nel laboratorio e iniziare a pulirlo. Il lavoro continua fino a fine mattina, poi un sonnellino e poi via di nuovo. Senza sosta, tutti i giorni e tutto l'anno. Ceko è uno che il lavoro ce l'ha scritto in faccia, senza mezzi termini. Si scusa che non mi può dedicare più tempo mentre lo fotografo durante la pulitura.
di stefano del 01/07/2005 @ 19:36:00, in viaggi, letto 2251 volte
 Da Milano a Lecco sono circa cinquanta chilometri, ma è dura scrollarsi di dosso le riluttanti scorie urbane. I primi colli rendono impossibile l'installazione di capannoni, container e fabbriche, ma le case resistono, acquistando un po' di bellezza. All'uscita di una piccola galleria ci si trova in alto, su un costone che guarda su una valle. Nessuno sa come siamo saliti fin quassù, treno compreso. La foschia calda e pesante di fine giugno resiste e ristagna velando ogni cosa, ma un po' di Lecco emerge. Tra le sagome di monti e il lago la fabbrica di sali di bario e altri componenti chimici produce ricordi di archeologia industriale. La ciminiera scura e inanellata, caratteri di un altro secolo, sudore rappreso. Finalmente la città. Non c'è separazione tra lago, nubi ed umidità, così si suda solo a pensare a quest'associazione. Il borgo di pescarenico è carino, ma non sembra aver conservato molto del suo aspetto originario. La città è strana e difficile da penetrare. Non riconosco un itinerario, un centro, un dipanarsi delle vie: tutto è incastrato tra la riva calma e il Resegone che sale subito alle spalle. Tutto intorno è un ridondare di nomi manzoniani, dalla trattoria Azzeccagarbugli sino a Corso Promessi Sposi. Ogni tanto le vie si aprono in qualche piazza piuttosto anonima, da borgo montano. Non trovo punti di riferimento. Non posso dire che la cità sia brutta, ma nemmeno il contrario. E' invece bello l'intarsio tra vie, palazzi, campanili, lago e monti. E' difficile datare i palazzi e le chiese. Lecco è una città pudica che difficilmente si lascia conoscere. Non per questo non desta la curiosità di infilarsi nelle viuzze per vedere dove sbuchino o di sedersi ad un tavolino ed osservare come il tempo passi tra le colonne e i getti delle fontane. Ma rimane l'idea che il vero cuore della città si celi al passante veloce, non si lasci scoprire. Bisognerebbe forse, prendere più tempo ed esplorare le strette vie che salgono, oppure sedersi su una panchina a guardare un gruppo di punk che fa il bagno nel lago. Quando riparto da Lecco ho la sensazione di un orgasmo interrotto. Tra una statua di Manzoni e il convento di Fra Cristoforo, sento nelle mani gonfiate dal caldo, il filo sfuggente del tessuto urbano. Qualche scatto l'ho rubato, ma di Lecco non ho ancora visto l'anima. Quando, tornato a Milano, racconto del mio viaggio ad alcuni amici, mi rispondono solo: Lècco! Sarà mica una città!
di stefano del 30/06/2005 @ 12:21:00, in viaggi, letto 1396 volte
 Provo un'attrazione irresistibile per la stazione di Milano. Un violento incontro di arcate di metallo e persone veloci. Ogni volta che la vedo ho uno sbocco sensoriale, mi pare quasi di sentire tra la lingua e i denti il sapore freddo e rugginoso del ferro, la durezza dei bulloni e delle travi. Il mio primo arrivo alla stazione di Milano fu un mezzo inganno. Mio padre mi portò con lui nel suo giro notturno di lavoro. Ma mio padre lavorava nel vagone posta. Ad ogni stazione si spalancava il portellone, venivano scaricati e caricati alcuni sacchi di posta, poi si chiudeva e si ripartiva. Lì, seduto con lui, chiuso in un vagone di legno, ho fatto il mio primo viaggio per la pianura padana sino a Milano e ritorno. Ma per me, la stazione di Milano era uguale a tutte le altre, viste dall'interno del vagone. Il mio secondo ritorno, in piena adolescenza, fu per un incontro con amici conosciuti via Fidonet. In realtà fu un vero e proprio viaggio appuntamento con un'amante. Non trovando nessuno degli amici con cui avevo appuntamento, la mia visita a Milano si trasformò in una passeggiata in stazione, guardando persone, architetture e volti. Per un provinciale di Rimini, la vista della grandiosità di Milano, il pomposissimo stile tardo impero, ma soprattutto la vivacità e la diversità di tutte le persone presenti è una veduta indimenticabile. Da lì in poi, sono innumerabili tutte le mie altre visite a Milano. Ma ognuna mi riporta lo stesso stupore, come fosse la prima, come se la stazione fosse la stessa meta di ogni mio viaggio. Anche quest'ultimo viaggio non è stato da meno. Incazzati, esterrefatti, rassegnati o distratti i viaggiatori sono ombre di un itinerario incompleto. Li guardo e penso di essere uno di loro, una cellula impazzita che non conosce nulla del proprio tragitto. La stazione è intessuta in un'infinita periferia di bassi capannoni e abitazioni distratte da fiori ai balconi. Sia in un senso che nell'altro, uscire o entrare a Milano vuol dire nuotare nel magma intestinale della città.
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