Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 Fortunatamente, la natura ha stabilito dei ruoli precisi e assolutamente inalienabili. Per questo, in ogni famiglia, la donna deve essere madre e l'uomo padre. Uscire da questo rigido e antichissimo schema può significare una cosa sola: sventura. Tra le varie cose che sono compito di una donna c'è quella di nutrire suo figlio. L'uomo deve portare la sostanza economica, e la donna sostentare con il giusto nutrimento il figlio, soprattutto quando il pargolo è ancora di tenera età, diciamo sei mesi. Ecco cosa può succedere quando l'essere umano osa invertire i ruoli. Un esempio. Paola tarda dall'ufficio, mi telefona e dice: "Stefano, prepara tu la pappa per Agostino", al che io rispondo, "ma non so come si fa, non l'ho mai fatta". "Uh quante storie - ribatte spocchiosa - c'è la ricetta sul frigo, è facile". Così, colpito nell'orgoglio mi metto al lavoro, mentre Agostino lancia le sue richieste di cibo e anche il gatto gironzola in attesa di una carcassa di cui cibarsi. La ricetta, effettivamente, è semplice: 150 gr. di brodo, 20 di farina di riso, metà barattolo di omogeneizzato, olio e formaggio. Uno schifo. Ma è così che deve venire. Ciò che non mi è stato detto è che le dosi sono indicative e gli ingredienti si aggiungono ad occhio sino ad ottenere un impasto cremoso. Per cui io, attenendomi scrupolosamente alle indicazioni, aggiungo farina di riso sino a che la bilancia non segna 20 grammi. A quel punto, come un bicchiere d'acqua gettato nelle sabbie del deserto, tutto il brodo viene assorbito dalla pasta di riso che si espande senza controllo. Il risultato è un mix di malta e gesso, denso come polenta e dall'odore sgradevolissimo. Dubbioso e affranto, ma assolutamente deciso a non prepararne un altro, posiziono il pargolo sul seggiolone, e senza neanche mettergli il bavaglio inizio a ingozzarlo, cucchiaino dopo cucchiaino. Nonostante le alte grida di scandalo di Paola e delle nonne subito contattate per telefono, Agostino gradisce e mangia, non senza bere un litro di biberon per sciogliere il chilo di calcestruzzo appena ingurgitato!
     Ho respirato un’aria di commozione a Cervia guardando il vento spingere e tirare gli aquiloni di fine aprile. Sarà stato il sole a lungo atteso e tornato dopo una lunga vacanza invernale che aveva più il sapore della prigionia, saranno le guerre e le liti rabbiose che esplodono ovunque, ma vedere una piccola parte di umanità spendere il proprio ingegno e tempo nel far volare una striscia di tela incorniciata da una telaio dalle forme più stravaganti, mi ha colmato di commozione e inspiegabile malinconia. Il cielo era un giardino azzurro puntellato di freschi fiori e animali pigri, ondeggianti. Più in basso il vento si accontentava della sabbia, dei vessilli, delle sagome attaccate ai fili, delle campanelle o di piccoli cilindri di legno che vibravano continuamente. Gli sguardi pensierosi, la mente al lavoro nello sviscerare semplici leggi di natura che operano anche con l’ignoranza, non nel possedere, accumulare, rubare, sovrastare, conquistare o addolorare. Sembrava così semplice e naturale e nel contempo così alieno, come i polpi, i gatti e l’enorme geco volante con le zampe palmate appoggiate alle nubi. Dietro solo il mare, tutto così umano. Mancavano solo Charlie Brown e il suo aquilone; ma il mondo ha perso l’ultimo soffio di Eolo e scivola nella pazzia umana, nelle mani di pochi folli che probabilmente mai hanno visto l’uomo e il suo ingegno.
Ci sono notizie che mi lasciano sbigottito. D'altronde lo avevo già scritto qui da qualche parte: il cyberpunk è già arrivato, e noi lo stiamo vivendo in pieno. Fa sempre uno strano effetto sentire attorno a sé l'evouzione dei costumi e della società ed accorgersi che ciò che fino a ieri era solo letteratura e finzione futuribile oggi è realtà. Forse è la stessa sensazione che avrà provato un lettore di Verne nei primi decenni del XX secolo... Certo, le novità non appaiono da un giorno all'altro, ma il momento in cui ci si accorge che certe sensibilità sono cambiate è improvviso. Quest'ultima notizia l'ho letta sul Corriere on-line. Di per sé non è eclatante, e non è neanche nuova. Ciò che la rende davvero cyberpunk è l'insieme della notizia più la "risposta del mondo" Ecco la notizia:
Cicciolina ha affermato che è pronta a concedersi a Bin Laden in cambio della fine della sua tirannia.
La risposta:
In Indonesia militanti islamici hanno assaltato la sede di playboy.
E' già letteratura!
Jeremy Irons è un attore che ammiro molto - pure con barba e baffoni. Anche una semplice pubblicità, nelle sue parole, acquista profondità e passione. Eppure, è piuttosto deprimente che anche pillole di filosofia spicciola ci vengano elargite dalle case automobilistiche. Ecco che scopriamo che viaggiare può essere molto di più che un banale spostamento da A a B. Peccato però che le stesse aziende di automobili ci abbiamo già bombardato di spot in cui erano la velocità e l'aggressività a farla da padrone. Comunque, nonostante il tentativo, io preferisco le parole di Kavafis...
ITACA
Se per Itaca volgi il tuo viaggio, fa voti che ti sia lunga la via, e colma di vicende e conoscenze Non temere i Lestrìgoni e i Ciclopi o Posidone incollerito: mai troverai tali mostri sulla tua via, se resta il tuo pensiero alto, e squisita è l'emozione che ti tocca il cuore e il corpo. Né Lestrìgoni o Ciclopi né Posidone asprigno incontrerai, se non li rechi dentro, nel tuo cuore, se non li drizza il cuore innanzi a te.
Fa voti che ti sia lunga la via. E siano tanti i mattini d'estate che ti vedano entrare (e con che gioia allegra!) in porti sconosciuti prima. Fa scalo negli empori dei Fenici per acquistare bella mercanzia, madrepore e coralli, ebani e ambre, voluttuosi aromi d'ogni sorta, quanti più puoi voluttuosi aromi Recati in molte città dell'Egitto, a imparare imparare dai sapienti.
Itaca tieni sempre nella mente. La tua sorte ti segna quell'approdo. Ma non precipitare il tuo viaggio. Meglio che duri molti anni, che vecchio tu finalmente attracchi all'isoletta, ricco di quanto guadagnasti in via, senza aspettare che ti dia ricchezze. Itaca t'ha donato il bel viaggio. Senza di lei non ti mettevi in via. Nulla ha da darti di più.
E se la trovi povera, Itaca non t'ha illuso. Reduce così saggio, così esperto, avrai capito che vuol dire un'Itaca.
Forse non potrò scriverlo nel diario elettorale che ogni settimana consegno ad Italy Magazine per raccontare ai sudditi di sua maestà le elezioni politiche nostrne, ma se dovessi sinceramente dichiarare il mio candidato preferito non avrei alcun dubbio!! Vota Cthulhu!
di stefano del 01/03/2006 @ 19:28:00, in viaggi, letto 3311 volte
 Se esiste un inferno per i fotografi, sarà fatto ad immagine e somiglianza di Città di Castello. In primo luogo, Città di Castello soffre di un male orribile che affligge tutte le città italiane: le automobili. Solo poche città in Italia sono immuni dal parcheggio folle e schizofrenico in tutto il centro storico e davanti ad ogni monumento. Città di Castello, mi rincresce dirlo - perché tra l'altro è un borgo molto suggestivo - rappresenta lo stadio finale di questa tendenza. Le macchine sono letteralmente ovunque. In tutte le vie, anche le più strette del centro, nelle piazze, anche quelle che ospitano i monumenti di pregio, negli slarghi, nei piazzali e, a breve, sui balconi delle case. Ma questo è solo uno degli ostacoli fotografici della mia visita odierna a Città di Castello.  Ecco una breve cronistoria del viaggio. La sera prima di partire ha nevicato. "Vabbé", mi sono detto, "dovrebbe smettere in serata, secondo le previsioni". Per sicurezza ho recuperato un paio di catene per la macchina e mi sono comunque preparato a partire. Durante il viaggio, a metà della mulattiera E45, superato Bagno di Romagna, si sono avverate di colpo una mezza dozzina di profezie del nuovo e vecchio testamento: il sole si è oscurato, le nuvole erano così basse e nere che la mattina sembrava la sera, nevicava e il vento portava con sé le più crudeli creature dell'inferno. Pochi chilometri prima del passo, l'E45 chiudeva. Per ferie? No, per lavori. Così sono uscito e ho preso il passo di Monte Salico. Il paesaggio era sospeso tra la neve e le nubi basse, gli alberi e i rami erano imbiancati, insieme alle montagne e ad un gruppo di piccole arnie posate poco distanti dalla strada. Svalicato insieme ad un branco di lupi e ad una fila di camion, siamo scesi verso Città di Castello, dove ci attendeva una pioggia battente.  Nei pressi della città, per diretta intercessione dell'altissimo, la pioggia scemava. Sceso dall'auto ho iniziato subito a fare qualche foto - senza troppa convinzione - sotto un cielo grigio che ingrigiva ogni cosa. Come se tutto questo non fosse stato sufficiente, l'impacchettatore Christo doveva essere arrivato qui pochi giorni prima di me. I principali monumenti, i campanili, le piazze e le chiese più belle erano tutte avvolte dalle impalcature e dai tendaggi dei lavori. La pioggia riprendeva ad intermittenza sincronizzandosi con il mio ingresso nelle caffetterie: quando entravo, smetteva, quando uscivo ricominciava. Come detto sopra, le macchine erano parcheggiate prospicienti ad ogni monumento davanti al quale non ci fossero i lavori, ed infine, ad ogni incrocio si trovava un cartello che indicava: pinacoteca comunale, ognuno in una direzione diversa. Un altro problema di Città di Castello è che le vie sono larghe giusto quanto un automobile, ma, purtroppo, ci sono anche i pedoni, con grave rischio della loro vita - in questo caso della mia. Stanco e provato, al limite della depressione, ho deciso di tornare indietro e di rimandare la visita a Città di Castello ad un altro giorno. "Ma", mi sono detto, "posso approfittarne per fare qualche foto ai paesaggi innevati sul passo!". Il tempo di arrivare su, e la pioggia aveva sciolto la gran parte della neve. Domani ho appuntamento con l'esorcista.
Riporto, con molto piacere, un trafiletto sul mio racconto Crapuloneria in Normandia, uscito sul settimanale Il Ponte di Rimini, a cura del bravo Paolo Guiducci.
"Crapuloneria in Normandia" è il titolo del breve, brillante racconto con il quale il giornalista riminese Stefano Rossini (e "titolare" della rubrica Tempo Libero, ogni mese sul nostro settimanale) ha vinto il premio regionale della Scuola Holden "Una cena da Re" (un corso gratuito di scrittura creativa online). Scritto in prima persona, narra di uno squattrinato studente universitario che per una volta riesc a "liberarsi" dalle forzate pastoie di kebab e McDonald, tuffandosi sull'iniziazione forzata al buon cibo in Normandia.
Dopo una giornata passata sul computer a scrivere, uscire a passeggiare è un vero toccasana. L'aria fredda di febbraio ti si infila tra i neuroni e li risveglia per guardare, annusare ed ascoltare un mondo che ti si forma attorno passo dopo passo. Un mondo già di per sé affascinante, ma se la città di Rimini ci aggiunge un tocco in più, allora è anche meglio. Da anni Rimini è una città che cerca di slegarsi dal clichè di capitale delle vacanze in estate e deserto di stimoli in inverno. Pian piano, grazie anche all'università, sembra farcela. Lunedì scorso, il 13 febbraio, sotto il loggiato del mercato coperto, in piazza Cavour, un piccolo e inaspettato concerto di Bossa Nova dava un colore nuovo e fiammante alla città. Svalicate le Alpi, nelle grandi città europee, la musica all'aperto non è solo un escamotage usato da chi ha l'assoluta necessita di guadagnare qualcosa per mangiare, ma è anche una prova per chi suona di professione, e un intrattenimento finanziato da enti privati o dal comune per dare alla città un tocco diverso, un respiro artistico e uno svago a chi trova a passarsi lì per caso. Per Rimini è stata una novità, e lo sarà per tutto il resto dell'inverno grazie Rimini, il mare d'inverno, la serie di eventi sparsi per il centro organizzati dalla CNA di Rimini. Io l'ho trovato affascinante e appagante. Tanto bello quanto inaspettato, la mia giornata si è subito conformata alla musica calda in mezzo al freddo umido della città. Anche il pupettto, nella carrozzina ondeggiata avanti e indietro, ha dormito al ritmo di chitarra e contrabbasso.
Da vero fanatico del tè, ho appreso con molta gioia la notizia dell’apertura di un museo del tè a Catania. Non passa giorno che non beva tè, e non è raro che raggiunga anche le quattro o più tazze al giorno. Se sono ancora vivo e non un grumo informe di caffeina lo si deve al fatto che oltre al tè nero e fermentato, ne bevo tantissimo verde, con l’inconveniente di passare metà giornata - quella in cui non bevo - in bagno. Ma la mia felicità si è subito ridimensionata quando il servizio si è concentrato, in particolare, sulla tazza e la teiera più grandi del mondo ospitate proprio nel museo della bella Catania. E’ una tendenza che non riesco a reggere, quella dei guinnes dei primati degli oggetti più grandi del mondo. Ogni volta che si va da qualche parte si trova sempre un comune, un paese, un casolare isolato che ostenta qualcosa di assolutamente grande e inutile. Oltre ad essere subissati di iniziative come la focaccia più grande del mondo, la pizza, il panino, la mozzarella di bufala più grande del mondo (con conseguente presentazione del bufalo più grande del mondo), ad ogni visita museale si incappa in qualcosa del genere. L’ultima mia vacanza nel Baden Wurttemberg è stata subissata da oggetti di dimensioni pantagrueliche: a Freudenstadt, bellissima città, si trova la piazza più grande della Germania, nelle rovine del castello di Heidelberg la botte da vino più grande del mondo, e infine, a Triberg, cittadina nel sud della Germania, addirittura l’imperdibile orologio a cucù più grande del mondo. La domanda che sgorga spontanea è perché? Anzi, io vi rivolgo il perché più grande del mondo!
Il breve racconto che segue, crapuloneria in normandia, è stato selezionato tra i vincitori di un piccolo concorso della scuola Holden. Non meravigliatevi se in futuro leggerete blog e articoli sempre più belli e avvincenti. Il premio per i vincitori era un corso di scrittura creativa.
Gli studenti universitari sono squattrinati per antonomasia. Io l’antonomasia la studiavo al corso di Poetica e Retorica, sapevo bene cos’era. E infatti non avevo una lira. Così, le esigue finanze raccolte per il viaggio a Parigi insieme a qualche amico erano appena sufficienti per pranzare a kebab e cenare a McDonald. Prima di lasciare la Francia, passammo a trovare, in Normandia, la nonna di un amico, in una piccola casa isolata nel cuore delle piatte distese boscose. Gentile, simpatica e non automunita. Così cominciò la mia iniziazione forzata al buon cibo. E come ogni iniziazione, fu fantastica e dolorosa. Si cominciava all’alba, appena svegli, quando il mondo ha ancora un sapore indistinto, a croissant e pan au lait. Golosità che tornavano a metà mattina per la tremenda seconda colazione. Qualche passeggiata in quelle lande basse e silenziose ci liberava di ben poco peso. Innaffiato da generosi calici di Bordeaux, il pranzo ci cadeva addosso che ancora il bianco dei nostri occhi trasudava il burro della mattina. E c’erano grossi polli contornati di puré caldo su cui veniva versato il grasso della cottura, bolliti misti e patè de foie gras, affettati e baguette. L’allegra camminata postprandiale ci risvegliava nella memoria la presenza di gambe e muscoli, a lungo privati del sangue che roteava attorno allo stomaco come gli anelli a Saturno. Ma il precoce buio normanno ci riportava a casa, con un cointreau e un piccolo aperitivo, in attesa della grande cena. Era il tripudio: il vino sembrava inesauribile, la fonduta di formaggi colava sulle patate calde e sugli affettati, i risotti si sprecavano e l’immancabile piatto di formaggi molli e ammuffiti si spingeva giù nello stomaco in attesa di un condono. Che bellezza: la prima notte vomitai tutto, e poi non mi fermai più!
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