Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 Tutto il mondo è ipermercato. Che cerchiate cibo, materiale da costruzione, abiti oppure articoli sportivi, l’esperienza della grande distribuzione è, comunque la si guardi, un incubo. L’unico modo per salvarsi è mostrare sicurezza e padronanza di sé: arrivare, fare il proprio acquisto e recarsi alla cassa con disinvoltura, pagare e sperare che non sia un grigio pomeriggio piovoso, caso nel quale intere cittadinanze si riversano a fare compere imponenti per future ere glaciali. I problemi sorgono quando i vostri acquisti necessitano di consigli, indicazioni e tutta quella messe di informazioni solitamente elargita da commessi, e personale addetto alle varie sezioni o ramingo per le corsie. Per prima cosa bisogna identificarne uno. Solitamente queste catene impongono un certo tipo di vestiario ben riconoscibile: magliettine catarinfrangenti, cappellini da baseball di sei misure inferiori per aumentare l’effetto demenza, rollerblade o altre torture. Una volta trovatolo sperate di aver pescato bene, in media ce n’è uno competente ogni quattro ruminanti. Se il vostro ha una scintilla prometeica nello sguardo, allora non mollatelo per nulla al mondo, o cadrete in un inferno di disperazione e stridore di denti. State molto attenti, perché gli addetti delle grandi catene hanno la grande capacità di sfuggire al vostro sguardo svicolando all’ultimo momento in una corsia segreta tra la parete delle tenaglie e quella dei bidet a basso costo. Se si accorge di non riuscire a seminarvi allora potrebbe adottare una di queste strategie: alzare la cornetta e pronunciare frasi a caso, oppure sollevare scatoloni e fingere di dover svolgere qualche lavoro urgente col risultato di riportare in voga la robot-dance anni ’80. Molti commessi, per aumentare le loro capacità difensive, si riuniscono in grossi branchi fermi all’incrocio di due o più reparti. Una volta raggiunto il numero di cinque o sei unità si mettono tutti a testa bassa a spostare muletti e bancali. Se cercherete di avvicinarvi inizieranno a parlare tra loro con un linguaggio tecnico e astruso, lanciando occhiate nervose nella vostra direzione. E’ assolutamente importante non avvicinarsi a questi gruppi da soli. Se il branco è nervoso, infatti, il rischio di essere aggrediti e attaccati è molto alto. La lista degli “scomparsi da ipermercato” è davvero lunga, e annovera pochi casi di ritrovamento, come la signora Bruna Montecchi, di 55 anni, di cui sono stati rinvenuti solo pochi pezzi nelle scansie dietro alle scatole dei fiocchi di mais. Il parossismo della frustrazione si raggiunge nei piccoli e spesso inutili banchi informazioni, innalzati nei crocicchi delle corsie. A qualsiasi ora del giorno passiate, il commesso è sempre accompagnato dallo stesso cliente. E’ inutile che aspettiate che si liberi. Un cervellone elettronico assegna ad un commesso una ed una sola coppia di clienti per tutto l’arco delle successive ventiquattro ore. A questo punto, con il banco informazioni privo dell’apposito interlocutore si creano lunghe code di gente disperata in attesa di un cenno umano o di una risposta. Ma invano, Si può solo sperare in un sorteggio per il giorno successivo. A fine giornata, qualcuno sviluppa un nuovo, terribile sfogo cutaneo dovuto allo stress e a massicce dosi di aria condizionata a temperatura polare. Altri, i più fortunati, hanno deciso di farla finita inghiottendo, in uno sorso, una bottiglia formato famiglia di maskara allunga ciglia.
 Entro pochi giorni, a Praga, la comunità astronomica deciderà le sorti del nostro nono pianeta, Plutone. Dal 1930 ad oggi, la scienza ha continuato a scoprire nuovi corpi celesti e sempre più urgente è diventata la necessità di definire cosa sia un pianeta e cosa no. Dopo oltre settant'anni di appartenenza al sistema solare, Plutone, o Yuggoth, in omaggio ad H.P. Lovecraft lo scrittore di Providence, uno dei primi avvistatori del pianeta che così lo chiamò nei suoi racconti, potrebbe essere la prima vittima di questa ridefinizione. Tra le ipotesi del simposio, infatti, aleggia anche l'eliminazione di Plutone dal corpus dei pianeti. Ma ancora le carte non sono state svelate. Si ipotizza anche un ruolo di primo piano per il freddo e lontanissimo Yuggoth: quello di pietra di paragone tra cosa sia pianeta e cosa no, almeno in fatto di dimensioni, la scienza, poi, ci svelerà cosa contraddistingue un pianeta da un anonimo sasso che vaga per le immensità del cosmo. Per una lettura più approfondita, clicca qui
Da secoli, i fuochi d'artificio scandiscono le feste solenni, i grandi raduni e i momenti più importanti con il loro carico di emozioni, colori e botti. Come un bambino potrei stare ore con il naso all'insù a guardare le girandole, le fontane, i razzetti e tutte le combinazioni di esplosioni e figure geometriche apparire nel cielo per poi essere inghiottite dalla notte.
Ma a Rimini, sinceramente, non se ne può più. Dall'inizio della stagione turistica sino a metà settembre, ogni sera, o poco meno, è la solita litania di botti e fuochi.
Si festeggia prima l'inizio della stagione, poi è la volta della festa della spiaggia, poi la sagra della salsiccia e della piadina, poi l'Osanna degli ombrelloni, poi la partenza della nave di Iside, il primo quarto di stagione, l'ascensione dei bagnini, il passaggio della nave di un ricco armatore greco, il campionato extra-galattico di biglie e così via, a giorni alterni, sino alla perdita del quaranta percento della propria capacità uditiva e della totale indifferenza verso qualsiasi epifania pirotecnica di cui ormai nessuno sopporta anche solo il nome.
L'unico risultato di questa infinita teoria di fuochi, infatti, è che nessuno alza più lo sguardo. Inoltre, aumentandone la quantità e rimanendo probabilmente costante la spesa, diminuisce la qualità, come insegna la matematica, e tutte diventano uguali e banali. Ma quello che è peggio è che si perde il senso dell'appuntamento importante, del momento atteso e del piacere di avere qualcosa da aspettare e da godere. Non sarebbe meglio farne qualcuna in meno, magari pubblicizzarla di più e creare uno spettacolo davvero memorabile?
di stefano del 16/07/2006 @ 00:51:00, in viaggi, letto 1049 volte
 Il viaggio lungo la costa marchigiana mi affascina ogni volta per la sua diversità di emozioni e paesaggi. Dalla rocca di Gradara e i colli che fanno scivolare le vigne sino quasi alle lunghe spiagge sottili, larghe a sufficienza per far una fila di scogli, una spruzzata di mare e due persone spalla a spalla, sino alle raffinerie Blade Runner tra Falconara e Ancona, con il groviglio seprentiforme di tubi che risplende sotto il sole e le lingue di fiamma come sacre cupole su pinnacoli. Appena una spiaggia si apre abbastanza da guadagnare il nome di baia, subito orde di ombrelloni colorati la riempiono con i loro cappelli e i turisti annessi. Dove i bagnanti raggiungo il numero sufficiente si costruiscono gli alberghi, un po’ come a monopoli. Ma almeno nel gioco della Parker Bros sono piccoli, puliti e rossi. Qui, invece, hanno forme faraoniche e geometrie poco euclidee, ma soprattutto dimensioni mastodontiche. Ancona e il Conero dividono una marca ancora dal sapore romagnolo, con le file di alberghi e di strutture ricettive salite dalla valle della Geenna, dalla marca più selvaggia, in cui si aprono paesaggi erbosi e desolati, per subito richiudersi tra costruzioni abusive e piloni di cemento armato. Le esili foci dei fiumi sono intristite da palazzoni a picco sulle rive. Dietro a tutto questo stanno i colli paglierini e verdi, grazie ai quali Leopardi non vedeva lo scempio costiero. Sono belle le Marche, a metà tra nord e sud, a cavallo tra diverse Italie, e di tutte le Italie portano i segni e le ferite, belle e brutte.
L’idea è di quelle carine e semplici, senza pretese. E in effetti basterebbe molto poco per farla funzionare bene, ma questa volontà manca. Il mare in piazza è un nuovo ristorantino tra piazza Cavour e piazza Malatesta, a Rimini, nel vicoletto che passa di fianco alle rovine del teatro. Un’osteria che propone gli evergreen adriatici: antipasti freddi e caldi, i classici primi con pesce (tagliolini allo scoglio in primis), grigliate, fritti e qualche piccola novità come il trancio di pesce spada con erbette. I sapori sono quelli di sempre (a volte viene il pensiero che l’antipasto freddo di pesce sia già venduto pronto e preparato nella fiamminga, soltanto da servire in tavola), ma questo ci può stare (se è quello che si cerca), e anzi, ristoranti più blasonati offrono spesso antipasti ancora più industriali. In più qui c’è il plusvalore di una cena all’aperto nel centro storico.
Il buio (senza luce in fondo al tunnel) cala invece sul servizio. Se non si vuole investire nei camerieri, tanto vale fare un buffet. La cronaca di un normale e vivace andirivieni di un sabato sera estivo è stata un bollettino devastante. I camerieri si cambiavano i tavoli in modo irrazionale dimenticando per ore affamati clienti abbandonati alla loro disperazioni. I radi incontri tra le due opposte formazioni non risolvevano la faccenda, anzi. Decisamente alcuni camerieri soffiavano sul fuoco affermando che gli ordini richiesti dai tavoli non erano mai stati effettuati (“Voi vi sbagliate non l’avete mai chiesto”), oppure risposte solerti ma piatti latitanti. In due ore e mezzo di serata, il nostro tavolo non è andato oltre gli antipasti, tra l’altro senza l’accompagnamento di piada richiesto fino alla raucedine.
A fronte di lamentele e richieste di spiegazioni, il loquace proprietario si è limitato a fare spallucce e chiedere esattamente cos’era arrivato e cosa no per fare il conto, senza sconti e senza scuse. Da lapidazione!
di stefano del 06/07/2006 @ 19:37:00, in viaggi, letto 1032 volte
 La Calabria è proprio come uno se la immagina. Appena uscito dall'aeroporto i colori ti colpiscono con una lucentezza improvvisa e vivida. Ai bordi delle strade occhieggiano Eucalipti e piante non meglio identificate dai maliziosi e carnosi fiori blu. Il resto è aria ferma, calda e secca, un frinire continuo di insetti e cicale da ogni cespuglio e fronda, una calma immobile e completa. Verde e blu si dividono il panorama, l'immenso mare piatto e sonnecchiante e i colli ingolfati di vegetazione. All'ombra di Capo Vaticano, dove un tempo antiche popolazioni divise tra greci e romani vaticinavano il futuro nelle viscere degli animali e nel volo degli uccelli o nelle ceneri capricciose di un bracere, ci si sente stretti tra il caos impulsivo dei vulcani che minacciosi sbuffano a sud e a nord. A vista d'occhio, sembra quasi di poter sfiorare l'Etna e Vulcano, ai poli opposti del panorama. Lo stretto è solo una breve interruzione tra una costa e l'altra, il resto è cielo e mare.
D’estate in pochi resistono al fascino di una cena all’aperto, e i ristoranti che se lo possono permettere aprono verande, chiostri, terrazze e quant’altro possa renderci la calura più sopportabile durante l’abbuffata. Anche il ristorante Tiresia (tel. 0541 781896), a pochi passi dall’Arco d’Augusto di Rimini, ha subito allestito un piacevolissimo patio con una bella veranda sotto il quale sono sistemati i tavoli da 2 e 4, e un grande cortile riccamente punteggiato di verde nel quale vengono ospitate le comitive più numerose. Un piccolo angolo in cui si passa volentieri un po’ di tempo a bere e a mangiare.
Peccato che il servizio e i piatti non sono all’altezza del luogo. Nell’assaggiare gli antipasti, i primi e i secondi, ci pervade l’opinione che le materie prime siano di ottima qualità, ma che la cucina scarseggi in inventiva, o peggio finisca per pasticciare una buona idea. Come il filetto in crosta di melanzane, che al nome così ghiotto e invitante fa seguire una taglio di carne buonissima e tenerissima, sopra il quale è stata colata un’inspiegabile fonduta di formaggio (?) guarnita con cubetti di melanzane. Molto lontana dalla nostra immagine.
Anche i primi sguazzano nel condimento e non colpiscono. Il vino al bicchiere viene servito “già preparato”, con un ragazzo che porta – sotto il mio sguardo incredulo – un calice già riempito di vino dalla cucina al nostro tavolo.
Spesa nella norma. Ma una grande occasione sprecata. Peccato!
Hanno sparato all'orso bruno, non sarà il primo né l'ultimo animale ucciso dall'uomo. quello che rende tutta questa storia surreale è l'approccio fatto di contrasti con cui l'uomo cerca di preservare il suo rapporto con la natura. l'orso bruno era stato "importato" dalla slovenia per tornare a vivere in zone in cui un tempo prosperava, il trentino appunto. ma in pochi - così pare - avevano pensato che l'orso potesse anche non gradire la nuova sistemazione e mettersi a girare per i fatti suoi. il movimento dell'orso tra il trentino, l'austria e la baviera ha creato scompgilio, e alla fine bruno è stato abbattuto. in poche parole, si chiedeva all'orso di vivere come un essere umano, con un preciso luogo di abitazione e avvertendo prima di espatriare. la nuova casa dell'orso era una prigione senza sbarre. la vita degli animali sopravvissuti al dominio dell'uomo sulla terra non è facile e, andando avanti, peggiorerà. gli animali rimasti devono mettersi in testa che potranno continuare a vivere solo rendendosi conto che la loro libertà è finita, che possono stare fin quando sono importanti, anche simbolicamente, per la società umana e per la storia umana, ma senza esagerare nel muoversi e nel fare razzia. così come allo zoo, molti animali sono solo ombre di loro stessi. dobbiamo guardare in faccia la realtà. la natura selvaggia è finita. è possibile sopravvivere solo se l'uomo decide in tal senso, e anche la vita all'aperto è condizionate da regole non naturali, in condivisione con le regole sociali dell'uomo. orso bruno, se espatri ancora, almeno manda una cartolina, cazzo!
  Purtroppo sì! Il titolo è abbastanza eloquente... Erode aka OmbradellaMorte aka Metafora ha lasciato questo mondo dopo 18 anni di onorata carriera felina. Il dispiacere è stato tanto, ma non si può impedire alla ruota di girare, per cui, soffiatoci il naso, gli abbiamo dato una degna sepoltura sotto un vecchio ulivo, nel cuore delle colline di Sogliano. Avrei avuto parecchie storie da raccontare su Erode, piasciate record, deliri ga(la)ttici, frenesie incontrollabili e tanto altro, ma a questo punto preferisco fermarmi qui e lasciarlo ai ricordi, ai morsi e alle soffiate ricevute da tutti quelli che l'hanno conosciuto (i più fortunati si sono trovati anche qualche indumento pisciato o lacerato)! Miao a tutti! OmbradellaMorte aka Erode aka Metafora 1988 - 2006
 Dal 10 al 19 giugno si è svolto, a Rimini, il festival del Jazz Tradizionale e dello Swing. Io ho fatto l'ufficio stampa, ed è per questo che sono scomparso del tutto dalle scene per oltre un mese. Non è il primo lavoro del genere che faccio, ma è il primo di questa "portata". Il mio povero blog è stato sguarnito per quasi due mesi! Sigh! Eppure avrei così tante cosa da dire! Ma appena posso torno, insomma, non vorrei che i miei lettori passassero da tre a due. Il festival del Jazz è stata una bella finestra su un mondo davvero poco conosciuto. Se è vero, da un lato, che di festival del jazz se ne trovano parecchi - Umbria Jazz primo tra tutti - è vero che uno concentrato sul Dixieland e sullo Swing, la musica degli anni '20 e '30 del '900, ancora non c'era. Da Rimini sono passati ospiti illustri e grandi band da tutto il mondo. Nella foto Bradford Duke Truby, il bassista dell'Hot Club of New Orleans, formazione di cinque elementi direttamente dalla Louisiana sul palco di Piazzale Fellini a Rimini. Un concerto trascinante e coloratissimo, che ha saputo unire le sonorità jazz a quelle gitane di un violino malinconico eppure frenetico. Ora spero di tornare al più presto a raccontare - ai miei tre lettori - anche gli altri viaggi e le altre novità fatte in questi mesi.
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