un occhio sul panorama di Ascoli Piceno... di stefano
[A Persefone] Odimi, o dea beata: i tuoi frutti mandaci su dalla terra tu che in pace fiorisci e nella dolce salute e fa che la vita felice adduca la prospera vecchiezza verso il tuo regno, o signora, e verso il potente Plutone
Non ho fatto in tempo a parlare del Po che un branco di assassini ha ben pensato di riversare nel Lambro una marea di petrolio per 9 ore di seguito. E che sarà mai! Tanto il Po chi se lo fila?
Davanti a questo scempio non riesco a scrivere nulla.
[Aggiunta delle 23.27]
Durante l'ultimo anno delle superiori, c'era una poesia che proprio non mandavo giù. Era Alle fronde dei salici, di Quasimodo.
E come potevano noi cantare Con il piede straniero sopra il cuore, fra i morti abbandonati nelle piazze sull'erba dura di ghiaccio, al lamento d'agnello dei fanciulli, all'urlo nero della madre che andava incontro al figlio crocifisso sul palo del telegrafo? Alle fronde dei salici, per voto, anche le nostre cetre erano appese, oscillavano lievi al triste vento.
Ho sempre pensato che fosse un atto di viltà, un tradimento, una fuga. Oggi, invece, la sento più vicina. Perché ogni parola sembra inutile e superflua e ancora debole e incapace di contenere tutta la rabbia. Diventa vuota retorica. L'odio le snatura. Perché non si può che odiare chi compie un atto del genere, come se non fosse un omicidio, come se la natura fosse qualcosa di altro da lui o da noi.
Erano ormai mesi, quasi un anno, che non si parlava più di Po in questo blog. E ora eccolo che torna fuori.
Domani, sabato 20 febbraio, allo spazio sottoesposizione di Piacenza (clicca qui per sapere dov'è), Michele Marziani ed io racconteremo il libro nato dall'ormai lontano viaggio del 2007, Lungo il Po, Viaggio controcorrente alla scoperta alla scoperta di sapori, gente e leggende del grande fiume.
L'incontro comincerà alle 17 e 30.
Non mancherà la proiezione del booktrailer del libro (che si può rivedere cliccando qui nel nuovo sito internet di AlternautaVideo - siamo sempre Luca Baggiarini ed io) e delle foto di viaggio.
Che senso ha Sanremo senza la Gialappa's Band? Chiedetelo a Flavio Mucciante, il nuovo direttore di Radio2 che ha cancellato con un colpo di spugna la trasmissione del trio milanese in onda dal 2001. Inutile dire che il commento della Gialappa's era l'unico in grado di dare un tocco di divertimento all'ormai moribondo festival della canzone italiana. Ma torniamo alle opere del grande Flavio Mucciante, arrivato da poco a Radio2. Appena insediato ha deciso la cancellazione di alcuni programmi storici dell'emittente tra cui Condor (condotto da Luca Sofri e Matteo Bordone) e L'altro Lato, un programma simpatico di Federico Taddia.
Poi la decisione di eliminare la Gialappa's. Il perché di questi cambiamenti? A leggere il comunicato di insediamento del neodirettore, vengono i brividi da febbre gialla. “La nostra radio è originale, veloce e affidabile, solida, grintosa, moderna sul solco della tradizione, aperta alle suggestioni del mondo e della società italiana. Insomma, sempre di moda e soprattutto sempre di tendenza”.
Si rilancia il marchio, insomma, il brend! Ma non è finita! “E stiamo studiando - continua il direttore - anche una promotion con “L’isola dei famosi””.
Questa sì che è programmazione di qualità! Sì, insomma, l'idea è quella di trasformare la radio pubblica - uno dei pochi paradisi in Italia - nella brutta copia della televisione.
Tornando alla Gialappa's, si può dire tutto di loro, tranne che non siano di tendenza e non facciano audience, per cui la loro sospensione rimane un mistero. Nei forum dedicati al gruppo si parla di accordi mancati, problemi sui compensi, e volontà della nuova direzione di cambiare rotta.
Nessuno afferma che Radio2 pre-Mucciante fosse perfetta, per carità, c'erano scelte discutibili, un po' troppo Fiorello, e anche il programma che ha sostituito la Gialappa's, Moby Dick, in altri orari è davvero piacevole!, ma non se ne può più di questi grigi burocrati amministratori che arrivano audience alla mano, dati e pubblicità nell'altra che tengono i soldi in tasca e importano tutta l'immondizia dalla tv in radio. Da utente canonizzato (cioè che paga il canone) io esprimo tutto il mio dissenso e la mia stanchezza davanti alla distruzione di ogni servizio pubblico.
Mi sembra ogni giorno di più che la Rai faccia un passo avanti e due indietro. Prendiamo, ad esempio, il tanto declamato sito internet di Radio2, da poco vittima di un nuovo restyling! Risultato? Un gran caos, difficile navigazione e nuovi entusiasmanti problemi. Se fino a qualche mese fa ascoltavo quotidianamente la radio in streaming, oggi collegarsi è impossibile! Meno banda disponibile? Chissà! Ma come spesso succede in Italia, dietro al restyling si nascondo nuovi disservizi.
Loredana Alberti è la proprietaria della FUNGAR di Coriano, una delle principali aziende riminesi di coltivazioni di funghi. L'ho intervistata poche settimane fa per TRE, il mensile di economia riminese. Le domande, però, non riguardavano l'aspetto agricolo, né tanto meno quello gastronomico, ma quello sociale.
Sì, perché su oltre 60 dipendenti, 50 sono cinesi. Ed esplorando il panorama agroalimentare riminese si scopre che la situazione è più o meno la stessa per tutto il comparto: i lavoratori stranieri sono circa il 90%. Non è, come sbandierato spesso da chi parla attraverso cliché, un lavoro rubato dagli extracomunitari. Sono lavori umili e spesso faticosi, che chi ha avuto la fortuna di studiare o di nascere in famiglie non in grave necessità preferisce non fare. Ma sono, nel contempo, una grande possibilità per chi cerca un reddito dignitoso e una vita in un paese nuovo. I numeri citati, infatti, riguardano i lavoratori regolari.
Avete avuto problemi con i lavoratori stranieri? - avevo chiesto a Loredana No. - risposta - L'unico vero problema, soprattutto all'inizio è stato quello della comunicazione. Avere a che fare con persone che non parlano una parola della tua lingua è difficile. Per questo, da anni, organizziamo all'interno dell'azienda corsi di italiano per tutti i dipendenti. I giorni del corso il lavoro termina un po' prima. L'anno scorso, poi, insieme all'ARCI abbiamo fatto un corso sulla costituzione italiana, sul diritto sanitario, il lavoro e tutte le informazioni che potevano essere utile per un lavoratore straniero. Cerchiamo di essere vicini ai nostri dipendenti, anche aiutandoli per il disbrigo delle pratiche per il permesso di soggiorno o per la maternità. Un altro problema, qualche volta, può essere nel rapporto familiare. Noi abbiamo una politica: cerchiamo di instaurare un rapporto col lavoratore e solo con lui. E' capitato che uomini marocchini, mariti di donne che lavoravano qui da noi, volessero venire a riscuotere per loro. A questi abbiamo sempre risposto no. Dev'essere il lavoratore a parlare con me, per qualsiasi cosa, non un suo parente.
Un imprenditrice illuminata, insomma. Di quelle di una volta, quando l'impresa si preoccupava non solo del proprio fatturato ma anche di garantire una vita dignitosa e una crescita ai propri dipendenti. E come darle torto? Alla Confagricoltura di Rimini fanno letteralmente la corte ai lavoratori stranieri. C'è da capirli! Senza crollerebbe tutto.
Eppure, a fronte di tutto questo, succedono sempre più spesso episodi spiacevoli, in cui lo stato e le forze dell'ordine si divertono a fare la voce grossa con i più deboli, a usare metodi militari per questioni civili. Ieri ho parlato di nuovo con Loredana, per un aggiornamento, e questa è stata la sua risposta.
“Non è un buon momento. Oggi siamo in piena agitazione. Ieri pomeriggio (il 9 febbraio 2010), sono arrivati i carabinieri che hanno bloccato i nostri lavori, hanno radunato tutti i dipendenti e hanno voluto controllare tutti i permessi di soggiorno. “Nessun problema - continua Loredana - tutto era in regola, ma il modo in cui la cosa è stata fatta mi ha davvero lasciata di stucco. Sembrava un'operazione militare! Ci hanno detto che da adesso in avanti i controlli sarebbero stati continui e che hanno cominciato da noi perché siamo una delle aziende più grandi”.
Quasi una retata, verrebbe da dire. Una di quelle che si vedono nei film che parlano della seconda guerra mondiale, ad esempio. Ieri in azienda è stata fatta una lunga riunione, insieme ai mediatori culturali, per far capire agli stranieri l'importanza di portare sempre con sé il permesso di soggiorno. Molti, infatti, lo tengono a casa, al sicuro, come una reliquia, consci che senza di quello sarebbero poco più che corpi da buttare su un aereo, una barca e di nuovo a casa. E invece devono averlo sempre con sé, perché un controllo può capitare in ogni momento, e alla prima dimenticanza sono guai.
di stefano del 08/02/2010 @ 22:41:34, in recensioni, letto 2397 volte
I primi minuti di Avatar sono davvero belli, spettacolari. Quando ho visto quelle grandi astronavi solcare lo spazio fuori dall'orbita di Pandora sono rimasto estasiato. L'ho rivisto 4 volte! Non il film. L'inizio. Perché alla multisala delle befane di Rimini il film non è andato oltre il quarto minuto.
Ci siamo seduti ed è cominciato. Il 3d sembrava un viaggio cubista sotto acido, con l'immagine che si scomponeva davanti ai nostri occhi. A modo suo affascinante, ma appena appena disturbante. Dopo quattro minuti decidono di sospendere. Luci. Silenzio. Riparte. Alla prima carrellata sulla foresta ci accorgiamo che nulla è cambiato. Più che Cameron, sembra un Picasso d'annata. Luci. Entra un tipo. Il 3d è saltato, stanno facendo delle prove per riavviarlo e allinearlo. Perfetto. E che ci vorrà mai, nel 2010?
Ecco! il film ricomincia. Buio. Carrellata sulla foresta. Picasso. Luci. Rientra il tipo. Qualcuno dal pubblico lo infama.
La scena si ripete più volte con numerose varianti, con gli spettatori che si alzano per uscire poi il film riparte e allora si siedono, ma si vede male e allora escono, poi qualcuno grida: si vede bene! e tutti rientrano di corsa, e avanti così!
Alla fine la direzione decide di sospendere e di rimborsare il biglietto. Fuori dalla sala la folla circonda “l’ambasciatore” che ritira tutti i biglietti. Poi qualcuno chiede, ma come farai a riconoscere chi ti ha dato i biglietti per il rimborso? Una luce lo avvolge, la luce della conoscenza! Ah! E’ vero. E si ricomincia cercando di capire chi fossero i possessori dei biglietti. Fila H, posti 10, 11, 12 - mio, urla qualcuno Fila G, posti 1, 2, 3 - mio! e si va avanti così un’altra mezz’ora. Alla fine ci restituiscono tutti i biglietti e ci comunicano che i soldi ci verranno restituiti direttamente dal direttore. Sono commosso! Finalmente vedremo il direttore delle befane. Immagino già il suo studio con la pianta di ficus, la poltrona in pelle umana e l’acquario coi dipendenti che nuotano. E invece no, c’è un tipo, giovane, in camicia, che sembra tutto tranne un direttore, che prende i biglietti e restituisce i soldi.
Ora, è facile infamare le befane, la voglia è tanta. La politica della multisala è davvero discutibile. I film vanno spesso in tilt, prima di ogni proiezione ci sono ore di pubblicità (tipicamente sullo stile Balestri&Balestri, con slide dai colori consunti e tigri sorridenti), su 12 sale, 9 hanno film di vanzina e le altre film presi a caso messi a orari discutibili, tipo le 25 e un quarto, o cose del genere. Inoltre, dopo aver diminuito il numero delle casse, hanno deciso di far pagare un euro per le prenotazioni on-line e per chi compra i biglietti alle macchine automatiche - anche se di solito è il contrario, chi compra al fai-da-te spende meno!
Detto tutto questo, sembra però che i problemi di Avatar non siano limitati alle Befane, ma a tutta l’Europa a causa di un problema di codifica. In pratica sembra che Avatar si è semplicemente rifiutato di girare con i proiettori digitali. Questioni tecniche. Ecco qualche blog che ne parla con più cognizione di causa.
Sul numero appena uscito in edicola di Internet Magazine c'è un mio articolo sull'Augmented reality, o realtà aumentata, per dirla all'italiana.
Il concetto è quello di trasferire i vantaggi della realtà virtuale “sopra” la nostra realtà. Immaginate di andare in giro per una grande città e di indossare un paio di occhiali che vi permettono di sapere quali uffici si trovino all'interno dei palazzi, o quale sia il miglior ristorante cinese della zona, o ancora avere in tempo reale le indicazioni per la metropolitana, o le informazioni sui monumenti.
Tecnicamente si tratta di sovraimporre strati di informazioni sopra la realtà, in generale. In particolare gli strati di dati sono visibili grazie ad un device tecnologico. Proviamo a spiegarci meglio. La realtà aumentata è, in senso stretto, la fusione del mondo reale con quello virtuale, come l'interazione di informazioni satellitari e di database direttamente sulla realtà che ci circonda. Queste applicazioni esistono già per i telefonini più evoluti. Mettete il vostro apparecchio in modalità telecamera, puntatelo attorno a voi, e sullo schermo vedrete sia gli oggetti che state riprendendo ma anche, sopra, le informazioni che state cercando.
A causa degli spazi ridotti, nel pezzo è saltata l'intervista a Sorin Voicu, un giovane laureato all'università di Roma, con una tesi in Grafica e Progettazione multimediale, che ha realizzato questo bel video. Di seguito l'intervista.
Come hai conosciuto la AR e perché hai deciso di parlarne nel tuo corso di laurea? Ho sentito parlare per la prima volta della realtà aumentata un paio di anni fa, ad una conferenza di computer grafica a Roma, dopo aver visto un paio di semplici dimostrazioni non è stato difficile immaginare le potenzialità che questa tecnologia ha da offrire, portandola come argomento di tesi per la propria laurea. Il corso di laurea che ho concluso trattava della comunicazione visiva in ambito architettonico, e lo studio su questa tecnologia puntava ad una possibile applicabilità. Un argomento come l'architettura non può essere studiato solamente dai libri, l'architettura e gli spazi vanno vissuti per essere compresi al meglio e la realtà aumentata offre la possibilità di studiare un opera architettonica dal vivo, aggiungendo allo studio l'ingrediente principale che è l'esperienza stessa.
Quali possono essere le applicazioni della realtà aumentata? Immagina di ritrovarti d'avanti ad un monumento sconosciuto ormai in rovina, grazie ad un dispositivo AR (augmented reality) mobile poterai accedere alla sua storia ed esplorare dal vivo le varie parti che lo compongono, e perché no entrare al suo interno ed esplorarlo come faresti in un videogioco, con la differenza che stai esplorando fisicamente il luogo. Attualmente lo sviluppo di questa tecnologia è portato avanti principalmente dal interesse immediato nell'ambito pubblicitario, in cui i prodotti possono essere presentati in maniera più originale, insolita e divertente. Personalmente credo sia semplicemente una tendenza odierna del mercato, il futuro della realtà aumentata ha molto più da offrire che un mondo di banner e trovate pubblicitarie. Credo che cambierà profondamente il modo in cui siamo abituati ad interagire con la tecnologia, integrandola in modo più naturale nella nostra quotidianità, se il computer è riuscito a creare una certa dipendenza tecnologica e chiuderci d'avanti ad uno schermo, la realtà aumentata ci invita ad esplorare e vivere la realtà in cui viviamo arricchendo la propria esperienza.
Ad esempio? Visitare un museo in cui potremo interagire con i vari personaggi presenti, imparare a cambiare un pezzo di ricambio della propria macchina, ma anche muoversi in una città sconosciuta assieme ad una guida virtuale che ci accompagnerà ad ogni passo e saprà sempre tutto, sfidare i propri amici ad un videogioco all'aria aperta piuttosto che spendere ore davanti allo schermo del PC, sono solo alcuni dell'infinità di esempi che si possono fare sul futuro di questa tecnologia, ma sono proprio questi che mi fanno confidare in un uso intelligente di tutto ciò che ha da offrire. Per il momento è quasi impossibile sapere con certezza il futuro della realtà aumentata, l'unica certezza è che saremo noi a deciderlo.
Malitalia: il libro di Laura Aprati ed Enrico Fierro recensito da me sul sito di Fixing, il settimanale di informazione economica, finanziaria e politica di San Marino.
Alessandra Romano è una ragazza di Rimini di 26 anni che da un anno vive ad At-Tuwani, un piccolo villaggio in Palestina. L'ho intervistata alcuni mesi fa per il Ponte, nello spazio dedicato ai riminesi nel mondo. Mi ha colpito il suo coraggio. Vive in situazioni di estrema difficoltà da quando aveva 18 anni, e il suo intento è di continuare.
Ecco come cominciava l'intervista: “Sono arrivata qui nel novembre del 2008 - racconta - per Operazione Colomba. Ci occupiamo di controllare le scorte che dovrebbero accompagnare i bambini palestinesi dei villaggi vicini alla scuola di At-Tuwani, oppure accompagniamo noi stessi i pastori con le greggi o i bambini nei dintorni del villaggio. E poi stiliamo dei report per l'ONU e l'UE sulla situazione del villaggio e dei rapporti tra israeliani e palestinesi”.
E' una zona pericolosa? “Sì, decisamente. Attorno al villaggio ci sono sia avamposti che insediamenti palestinesi. Entrambi sono protetti dall'esercito. E' capitato più di una volta che le frange più oltranziste dei coloni aggredissero i bambini durante il tragitto o che anche la scorta preposta a proteggerli non facesse il proprio dovere. Nei giorni difficili uscire è rischioso, sia che si debba andare a scuola, sia che ci si debba recare a pascolare le pecore”.
Ieri mi ha inviato un comunicato stampa su una aggressione subita dal suo gruppo ad opera dell'esercito israeliano. Siccome non si parla di personaggi dello spettacolo, né di Berlusconi, è difficile che la notizia trovi spazio sui giornali italiani. Nel mio piccolo la pubblico
Coloni invadono At-Tuwani, lanciano pietre ai suoi abitanti entrando nelle loro case. I soldati usano gas lacrimogeni contro i palestinesi.
26 gennaio 2010
AT-TUWANI – nella giornata di martedì, 26 gennaio 2010, 15 coloni israeliani dell'insediamento di Ma'on e dell'avamposto di Havat Ma'on hanno invaso il villaggio di At-Tuwani e attaccato i suoi abitanti. I coloni erano scortati da tre jeep dell'esercito israeliano e dal capo della sicurezza dell'insediamento. Un soldato ha ferito un palestinese che è stato poi ricoverato in ospedale. Mentre i coloni lanciavano pietre, i soldati utilizzavano gas lacrimogeni contro i palestinesi.
In seguito, i coloni si sono recati all'entrata di At-Tuwani e hanno iniziato a lanciare pietre ai passanti che transitavano sulla strada.
L'invasione è avvenuta alle ore 9:20 del mattino. Tre jeep dell'esercito, un pickup con a bordo un colono israeliano proveniente dall'avamposto di Havat Ma'on e il capo della sicurezza di Ma'on sono entrati ad At-Tuwani. I coloni hanno attraversato il villaggio e sono entrati nelle case dei palestinesi, scortati dall'esercito.
Per ulteriori informazioni: Operazione Colomba +972 54 99 25 773
Segnalo un appuntamento interessante, per domani pomeriggio (martedì 26 gennaio), a Forlì, alla libreria MEGA, in corso della Repubblica 144, ore 18:00
La presentazione del libro “Malitalia storie di mafiosi, eroi e cacciatori” di Laura Aprati ed Enrico Fierro Edizioni Rubbettino 2009.
C’è un nemico. Spietato e senza remore.E c’è chi lo combatte. In questo libro/documentario l’interminabile conflitto quotidiano della Campania, Calabria e Sicilia. Storie di uomini spesso dimenticati. Storie di vittime e carnefici, di onesti e collusi. Passando per la Rosarno dei “neri” e le carte mai trovate di Totò Riina, forse in mano dell’ultimo grande latitante di Cosa Nostra, Matteo Messina Denaro. Ne parlano con gli autori, Rino Germanà, Questore di Forlì, Massimo Corleo, Magistrato Tribunale di Trapani. Modera RobertoZoli, giornalista.
“In Calabria la ‘ndrangheta ha cambiato le regole del gioco: si muore. A Trapani gli imprenditori prima si associano a Cosa Nostra e poi a Confindustria. A Casal di Principe la camorra paga 900 mila euro di stipendi al mese.
In tre regioni italiane si combatte una guerra nell'indifferenza generale del Paese. Ci sono paesi e città, interi quartieri di importanti metropoli, dove si vive e si muore proprio come nelle zone di guerra. Ci sono cecchini che sparano, bombe che esplodono, squadroni della morte in azione per eseguire sentenze decretate da tribunali segreti e al di sopra delle leggi dello Stato.”
di stefano del 22/01/2010 @ 12:11:05, in viaggi, letto 1159 volte
In quel centro commerciale che è l'aeroporto di Stanstead, pronto per il viaggio di ritorno da Londra in Italia, ho trovato una cartolina che pubblicizza una catena di bar in stile italiano. Sul fronte c'è un collage di foto con, in ordine, una simpatica vecchina con pane pugliese, un prosciutto crudo, una via di un paesello medievale, un uomo con una forma di formaggio più grande di lui, un bimbo a petto nudo che mangia gli spaghetti, sacchi di caffé e un'apecar. Ma dove viviamo noi italiani? Nel neorealismo? Forse. E a proposito di cliché, noi come vediamo l'Inghilterra? Per me è la terra dei college, dei campus, e di molte cose che avrei voluto fare o essere e che ora rimangono solo un'idea, trasformata dalla nostalgia. In effetti per me andare a Londra è sempre una bellissima esperienza!
Ma la realtà è sempre diversa. Per quanto la capitale del Regno Unito mi conquisti ancora con relativa facilità, due cose mi hanno colpito, soprattutto per la disparità con il nostro paese. La prima è che Londra è piena di poliziotti. Ad ogni angolo di strada, lungo i viali, nelle metropolitane, stazioni ed in ogni altra piazza c'è sempre almeno una pattuglia di polizia che sorveglia e controlla tutto. A Rimini mi sembrano già fuori luogo i due militari dell'esercito di pattuglia con un poliziotto. Di contro Londra è pulita in modo inimmaginabile. Non c'è una carta per terra o una scritta su un muro, neppure nella metropolitana che nel pensiero generale dovrebbe essere la casa dei writer e degli squatter più riottosi. Quasi quasi si apprezza un po' il sano stile anarchico italiano - che in realtà odio ma qua, forse, si è un po' troppo rigorosi.
Paragoni a parte Londra è una città fuori dai canoni. Qui sì, ancora più che a Roma, l'impressione è quella di visitare la capitale dell'impero (e immagino che New York lo sia ancora di più). Gli edifici, i musei, la disposizione delle strade sembra dire: -Ehi! Noi abbiamo conquistato ogni cosa. Noi siamo i padroni del mondo. Non ci sono storie-. Pare quasi di vedere John Cleese in divisa rossa da ufficiale partire per la guerra contro gli Zulu. A Trafalgar Square la colonna con la statua di Nelson rimane lì a dire: - Napoleone? - Oui? - prrrrrrrt - maledettì! Ma lo dice con fiera pomposità anglosassone, condita da un briciolo di spocchia. E a me, nel bene e nel male, sembra di fare parte di questo impero occidentale. Di venire dalle più remote province a guardare la capitale, a sentire cosa c'è di nuovo, a vedere gli spettacoli che non arrivano in provincia, ad osservare la gente che corre in metropolitana anche se passa un treno al minuto.
Westminster, il Big Ben, Piccadilly Circus, Trafalgar Square, Covent Garden, St. Paul, il Millennium Bridge, la City e poi il British Museum, Bloomsbury, Oxford Circus e Oxford Street, i must più o meno sono stati presi tutti. Abbiamo saltato il Tower Bridge e la London Tower per pioggia copiosa. Ma non ci si lamenta. In tre giorni, a gennaio, abbiamo avuto ben 15 minuti di sole, e non è poco!
Ancora una volta mi è piaciuta la cucina inglese. E non solo la cucina dei grandi ristoranti capaci di rielaborare la tradizione, e neppure solo quella dei ristoranti di tutto il mondo che hanno trovato casa qui, siano indiani, vietnamiti, cinesi e thailandesi - e italiani - ma proprio la cucina più semplice, quella dei pub in cui i londinesi si trovano a mangiare qualcosa di veloce per pranzo. Salsicce col purè, o pasticci di pollo, roast beef, o ancora il famigerato "fish'n chips" che è in realtà un unico e gustoso filetto di platessa con una panatura croccantissima, accompagnato da una salsa un po' agra in stile mayonnaise. E poi mi sono innamorato del british breakfast, a base di salsiccia, bacon, fagioli in umido, uova e pane. Certo, come colazione per due giorni passati a camminare al freddo va bene, la facessi qui per stare seduto tutta la mattina al computer non so quanto durerei.
Con rammarico abbiamo mancato il grande magazzino della Fortnum & Mason, più che un negozio una gioielleria del tè e di leccornie. Vetrine lussuose oltre ogni misura con innumerevoli varietà di tè, scatole, zuccheri, biscotti, ma anche formaggi blu, foie gras, cracker di ogni tipo e altro. Ma dolci e tè in gran quantità non sono mancati durante la seconda visita al British Museum. E ancora una volta invidio il modo degli inglesi di concepire il museo, molto meno ingessato e snob. Un luogo in cui passare del tempo ammirando arte e reperti, passeggiando nelle grandi sale, fermandosi a bere un tè con un muffin o una fetta di torta, e poi di nuovo in giro in qualche altra sala, fino a che non ci si stanca! E' una incredibile alternativa ai centri commerciali per la domenica.
Al ritorno, per la prima volta in 8 voli aerei, ho visto un po' di panorama. E che panorama! Dopo un nord Europa completamente coperto di nubi: le Alpi. Sembrava di guardare una cartina di un mondo fantasy, quelli in cui, ad un certo punto, si arriva al limite invalicabile. Fine. Non si va oltre. Montagne: alte, impervie, aguzze, affogate nella neve. Mi sono davvero sembrate mitologiche, un luogo irraggiungibile, la fine di un mondo oltre il quale solo un eroe poteva pensare di proseguire. Capaci di fermare venti, tempeste e idee. E al di là, la vita continua con i soliti ritmi.
ps per tutti quelli che si chiedono cosa rappresenti la foto di quella fantastica vista cittadina, ecco la risposta: è il fantastico quadro appeso sopra il nostro letto nella camera d'albergo. Così brutto da meritare una foto!