Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
.JPG) Il turismo è in crisi? Il coro è unanime, il panico si diffonde, i dati confermano il ribasso. Colpa della congiuntura economica? Colpa del 2012 sempre più vicino? Non solo. Se il turismo è in crisi, in Italia, la colpa è anche dell'incapacità di chi se ne occupa. Chi deve gestire il nostro patrimonio non lo sa rendere appetibile (o, come dicono in gergo, non riescono a vendere il prodotto museo). Chi, fino ad ora, ha riposato sugli allori del Belpaese comincia a rimanere tagliato fuori. L'Italia tutta gode da sempre di un flusso “naturale” di turisti che vengono a visitare città d'arte e monumenti indipendentemente dall'offerta turistica. Ma adesso i visitatori e i viaggiatori sono più attenti, e scelgono con più oculatezza. Sì, insomma, le belle cose da vedere, in Italia, non mancano. Manca però l'organizzazione per goderle appieno. Qualche esempio? Partiamo da un dato: i cinque maggiori musei italiani fatturano il 12,7% del British Museum (dati di Federturismo). Già la cosa è interessante. Ma c'è di più! L'ingresso al British Museum è gratuito! E allora? dove prendono i soldi i gestori del museo? Vendono i pezzi sottobanco? Scippano i turisti all'ingresso o all'uscita? Li fanno addormentare davanti ai ritrattisti del '600 e poi si risvegliano tutti bagnati in un fosso che gli manca un rene? No, al British si pagano solo le mostre temporanee, e i gadget dei negozi. Tutto è merito dell'organizzazione anglosassone, che riempie nicchie del museo con negozi, negozietti, vendita di magliette, etc.. Tutte cose che, alla fine, si fanno desiderare e acquistare, anche e proprio perché, il visitatore ha risparmiato sul biglietto di ingresso e si sente più incline a spendere qualcos'altro. Non solo. Il luogo è molto free, o easy, per usare due termini inglesi. Uno entra, passeggia quanto e come vuole. Fa foto, si ferma al bar a bere un té. Poi riparte e finisce la visita, etc. Qui in Italia? Qui è tutto più complicato. I musei sono luoghi da cui si vuole tenere fuori il visitatore. L'anno scorso sono stato a Brescia, a vedere la mostra America. Bella. Ero con la mia compagna e mio figlio, al tempo di 2 anni. All'ingresso ci fermano: all'interno del museo non si può portare il passeggino. Come? chiediamo, ma abbiamo un bimbo di due anni. No! Le regole non si discutono! Niente passeggini (e già che ci siamo, fuori anche tutti quelli su carrozzella, che rallentano il traffico). Risultato? Il bimbo, che solitamente se la dorme mentre giriamo nelle sale dei musei, è stato sveglio e capriccioso tutta la visita. E la promozione del nostro patrimonio? La promozione va ancora meglio (giusto per non parlare del portale italia.it). L'anno scorso ho scritto un articolo per un paio di riviste (lo si può leggere anche qui) sulla Domus del chirurgo di Rimini. Per fare le foto ho dovuto promettere e firmare ogni cosa, e divulgarle il meno possibile. Ma perché? Che danno può avere un sito archeologico se si fanno girare delle immagini? Ancora meglio la Domus del Mito di Sant'Angelo in Vado. La Domus del Mito di Sant'Angelo in Vado? Volete sapere qualcosa della Domus? Volete che vi scriva la mia esperienza nel visitarla, e magari vorreste vedere le foto? Bene! Lo vorrei anch'io. E' aperta durante i pleniluni, il 29 febbraio, tutti i plutonedì dispari e durante le apparizioni di San Gigione Martire nei comune sotto il 46 parallelo. In tutti gli altri casi è chiusa. Ho provato a sfruttare i miei copiosi canali giornalistici. Salve sono un giornalista - ho telefonato all'apt. Come risposta mi hanno dato un cellulare di un tipo che però mi ha detto di chiamare in comune. Allora ho scritto in comune. A Luciano Palini dell'Ufficio Cultura e Servizi Sociali. Vorrei scrivere un articolo sulla Domus. Posso prendere un appuntamento per venire a fare delle foto? Bene. Le foto le hanno loro, e anche il materiale. Mi mandano tutto e io posso scriverne. Ma come? Senza vederla? Esatto. Da lontano. Il più lontano possibile. O magari mi tengo libero il prossimo plutonedì. Se proprio non ho altro da fare...
di stefano del 26/04/2009 @ 23:58:20, in cinema, letto 10108 volte
 Ieri sera, 25 aprile, LA7 ha passato Rocky 4, capolavoro colmo di rallenty e messaggi pacifisti. Vidi per la prima volta questo film che facevo le elementari, e al cinema, ricordo, mi piacque tantissimo. Io e alcuni miei compagni di scuola fummo entusiasti delle scene e uscii dal cinema convinto di fare il pugile e di cambiare il mondo. Poi, grazie a dio, si cresce e si acquisisce anche il senso del gusto. Secondo me, non è un caso che LA7 abbia deciso di dare questo film il giorno del 25 aprile, il giorno della festa della liberazione. Questo film insegna molto sui comunisti e sulla collaborazione tra questi ultimi e gli americani. Mi rendo conto che una recensione di Rocky 4 sia fuori tempo massimo, ma davvero rivederlo mi ha fatto capire molte cose. La storia la conoscono tutti. Ivan Drago arriva in America scortato da un paio di grigi burocrati comunisti e da Brigitte Nielsen - la moglie. Apollo Creed, l'ex campione del mondo, vuole dargli un benvenuto americano e organizza un incontro spettacolare, durante il quale Drago lo gonfia come una zampogna. Rocky Balboa non la prende bene e decide di sfidare Drago, ma questa volta nella Russia comunista. Va in Siberia e si allena immerso nella natura, tra la neve e le betulle, mentre Drago dà pugni a computer e sfrutta una tecnologia malvagia e inumana. Alla fine c'è l'incontro, e tutto il pubblico russo comunista inveisce contro Rocky fino a che, al quindicesimo round, dopo 45 minuti di cartoni dati con la rincorsa - ognuno dei quali capace di uccidere un uomo - iniziano ad apprezzare la sua resistenza e tifano Rocky. Lui si galvanizza e vince. Tutti i comunisti si alzano in piedi e lo applaudono, anche Gorbachev. Cosa si evince da questo film? Primo: i comunisti sono cattivi. Anzi cattivissimi. Non solo Ivan Drago riempie di cartoni Apollo Creed fino ad ammazzarlo, ma Brigitte Nielsen, moglie di Drago, nel momento in cui il pugile russo sferra il pugno assassino al campione del mondo - ovviamente in slow motion - sorride e guarda con spocchia la ormai vedova Creed. Tutti urlano nooooooo contemporaneamente. E lei ride. Secondo e più importante, i comunisti possono essere redenti e possono collaborare con gli americani, per costruire un mondo migliore. Alla fine dell'incontro, infatti, i comunisti hanno capito il valore di Rocky e si lanciano in un applauso incontenibile. Ecco, in breve, il discorso di Rocky: "Se io posso cambiare... e voi potete cambiare... tutto il mondo può cambiare!" Cosa c'entra tutto questo col 25 aprile? C'entra, c'entra. Prima di tutto, questo conferma la tendenza delle ultime ricerche storiche. Oggi sappiamo infatti che i nazisti non erano tutto questo gran che, e se non fossero stati continuamente stuzzicati dai partigiani, se ne sarebbero stati buoni buoni e non avrebbero fatto del male a nessuno. Tutto torna, vedete? I comunisti sono cattivi, e sparavano apposta ai nazisti in modo da provocare le rappresaglie. Secondo: se non ci fossero stati gli americani, i partigiani avrebbero continuato solo con le loro gratuite cattiverie. I soldati americani e inglesi, infatti, ogni volta che incontravano un comunista gli dicevano: Se io posso cambiare... e voi potete cambiare... tutto il mondo può cambiare. E così, alla fine, i comunisti hanno capito che si poteva collaborare per un mondo migliore, e lo hanno fatto... ma in slow motion!
 Già negli anni '20 il regime italiano propose l'autarchia come soluzione dei problemi. Perché il metodo, ovviamente, è sempre quello che il libero mercato vale per noi e non per gli altri. Sto parlando delle ridicole ed assurde leggi che stanno spuntando come funghi in numerosi comuni italiani. Prima a Lucca il divieto di aprire locali etnici nel centro storico, e ora, a Milano, il divieto di mangiare kebab in giro per strada. C'è un tratto che accomuna questi legislatori incompetenti (e che fanno leva sull'idea irreale che se chiudono tutti i miei concorrenti stranieri, la mia trattoria lavorerà il triplo), ed è la lagnosità. Aspetto solo che New York, Londra, Berlino, Sidney, Parigi e Mosca vietino le pizzerie e i locali dei soliti rumorosi e canterini italiani, e poi vedremo come reagiranno. - Come osano?! chiudono le pizzerie e i ristoranti italiani. Noi siamo i principi della cucina, questo è un atto intollerabile ed inammissibile. Faremo ricorso al tribunale europeo, agli organi competenti, a Salomone (che dividerà la pizza in 2) ed anche al capitano Kirk perché risolvano immediatamente la questione! Niente Cassoela o polenta in tutti i ristoranti di Manhattan e di Central Park, per non parlare della cucina toscana, che solitamente sporca, fa odore pungente e gli avventori fanno cagnara fino alle tre di notte. E che dire delle mozzarelle di bufala alla diossina o i vini all'etanolo? Perché noi italiani siamo gente per bene! Io dico solo che non ne posso più di tutti questi leghisti e fascisti sempre pronti a chiudere, vietare, aizzare, incolpare e fare leggi assurde, come se tutto il danno all'economia di oggi derivasse dal fatto che nel centro storico di Lucca c'è qualche ristorante etnico. E' una visione della società che già in terza elementare, quando si acquisisce una comprensione un po' più ampia del mondo, si supera. Non avrei mai pensato di dire: w il kebab! w la libertà!
 Stavo mangiando un'ottima fetta di Roquefort, appena comprata da Adriano, per risollevare un lunedì un po' fiacco, quando, di colpo, mi sono fermato a guardare la punta della forchetta. Eccolo lì, il Roquefort, un piccolo pezzo bianco e blu, burroso ed eroso, cosparso di piccoli buchi muffosi. Prima di addentarlo ho cominciato a pensare a Burroughs, al pasto nudo. Non tanto, o non solo, al bellissimo libro dell'autore più allucinato, profetico e visionario del '900, ma proprio al senso del titolo: il pasto nudo: “l’istante raggelato in cui si vede quello che c’è sulla punta della forchetta”. Siamo infatti così abituati a mangiare - e spesso distratti dalla bontà di ciò che mangiamo - da non dedicare neanche un pensiero a cosa mangiamo. Alla materia e ai corpi che divoriamo. Cosa stavo mangiando? Un ottimo formaggio cremoso e saporitissimo? Un fantastico prodotto caseario nato da una lunga tradizione? Non solo. In quel preciso momento stavo mangiando una pasta composta di un liquido munto dalle mammelle di una pecora e messo a stagionare in una grotta naturale del Mont Cambalou, dove piccole particelle di formaggio che rimangono attaccate alle pareti, danno vita ad un processo naturale di auto-riproduzione delle spore di Penicillum roqueforti e dei lieviti responsabili delle caratteristiche del formaggio. Qui, le forme vengono forate e l'aria delle grotte, ricca di spore, vi penetra dentro. Tutto in quel piccolo pezzo in cima alla mia forchetta. E tutto grazie al pensiero di Burroughs. Non che Burroughs facesse il formaggio, ma ne ha dato una lettura devastante, disincantata e a modo suo geniale. E siccome la concatenazione dei pensieri è bizzarra e lunga, il motivo per cui oggi ho guardato il Roquefort pensando a Burroughs, è stata la morte di Ballard. Ballard e Burroughs sono i miei autori dell'adolescenza. Li ho letti assieme. Quando penso ad uno mi viene in mente anche l'altro. E oggi Ballard è morto. A 78 anni. La fiera delle atrocità è chiusa. La festa è finita. Io cerco di sollevarmi un po' mangiando una fetta di Roquefort.
 Queste immagini della torre medicea di Santo Stefano di Sessanio, in Abruzzo, le ho scattate ormai tre anni fa, durante una visita al borgo. Ora la torre non c'è più. Dopo aver resistito per secoli, è crollata con l'ultimo sisma, che ha raso al suolo parte de L'Aquila e dintorni. Il resto del paese, un borgo medievale intatto, non ha per fortuna risentito in modo critico. In realtà pare che la torre sia crollata per un recente intervento di restauro, in cemento armato. Ho voluto aspettare qualche giorno prima di scrivere qualcosa sull'Abruzzo, perché ho avuto il voltastomaco dei giornalisti e dei buonismi politici che non hanno fatto altro che riempirsi la bocca con parole e promesse. In realtà non volevo scrivere nulla, sul comportamento dei mass media. Ho ancora in mente un'intervista a Pasolini, vista alcuni anni fa, in cui PPP affermava di non riuscire a scrivere nulla sulla borghesia, perché l'astio che lo prendeva era talmente forte da falsare e rendere banali e brutte le sue parole (che, però, tali non erano). Ecco, in questi giorni ho provato le stesse cose. Di solito scrivo con un taglio ironico e demenziale, e tutto sommato la cosa non mi riesce male. Ma quando provavo a farlo, pensando al comportamento di sedicenti giornalisti come Bruno Vespa, che chiede il conto dei morti dopo la pubblicità, o la giornalista di studio aperto che bussava ai vetri delle automobili, dove la gente si era rifugiata per dormire la notte, chiedendo cosa provassero ad aver perso tutto, mi saliva un tale livore da trasformare ogni parola in un morso di rabbia. Quando pensavo a questi giornalisti - giornalisti? non li definirei tali. persone del genere stanno al giornalismo come le puttane ad un convento di clarisse - mi venivano solo parole astiose (appunto). Il gran finale, poi, lo ha preparato il tg1, autocelebrando i propri dati di ascolto nei giorni del terremoto. Share e percentuali altissime hanno coronato il crollo dei palazzi costruiti con la carta velina. Per forza, nella calce ci fanno pisciare i muratori al posto di metterci l'acqua! Qualcuno ha calcolato che un sisma della stessa magnitudo avrebbe fatto in Giappone meno di 10 morti. Ma insomma! Questo non è il momento delle polemiche! Dobbiamo essere tutti uniti e piangere! Non parliamo di queste cose. Cavolo! In Giappone sono avanti, hanno una tecnologia che noi non sappiamo neanche come. Loro sono abituati al terremoto, mentre invece l'Italia non è un paese a rischio sismico. Questo non è il momento delle polemiche! O sì?
 Un titolo quasi leopardiano, me ne rendo il conto, dietro il quale si nasconde in realtà un argomento molto più leggero rispetto a quelli trattati dal poeta di Recanati, ma comunque di pressante urgenza! Qui si parla di gelato - che tra l'altro era anche una delle grandi gioie di Leopardi nei suoi ultimi anni napoletani. Il gelato a Rimini è un'istituzione. Lo è perché questa è una località di vacanze estive. Per me lo è sempre stato perché, rispetto ad altre città, qui il gelato lo hanno sempre servito a spatolate e mai con le odiose palline che non ho mai sopportato - solo una per gusto?! Ma anche i gelati hanno una loro darwiniana evoluzione. E sopravvivono solo i migliori. Come per la ristorazione locale, per anni l'unico metro di valutazione è stata la quantità. Un grande gelato corrispondeva ad un gelato buono (e ci abbiamo messo anche un chiasmo). D'altronde i ristoranti della riviera erano famosi per i piatti traboccanti di tagliatelle e strozzapreti al ragù. Che poi la qualità fosse dozzinale era secondario. L'importante è che fossero tanti. Poi le cose sono cambiate. E' aumentata l'attenzione alla qualità, alle materie prime, ai gusti. E il gelato è decisamente migliorato. Alfieri del cambiamento sono stati i due gemelli del Biodelirio, ora attori famosi sotto l'ala di Chiambretti, e molte altre gelaterie ne hanno seguito l'esempio. Ma da un paio di anni, uno spettro si aggira per le gelaterie riminesi: la bilancina e il cucchiaino per le livellature. I primi ad usare questi strumenti del demonio sono stati quelli de La Romana, una gelateria che da sempre ha fatto dell'antipatia il proprio biglietto da visita. Ma in pochi mesi la piaga si è allargata a macchia d'olio, colpendo prima Il Pellicano, e ora, purtroppo, la gelateria Il Castello. Ma facciamo un passo indietro. La bilancina e il cucchiaino sono due strumenti che intervengono quando si acquista un gelato in vaschetta da portare via. I classici mezzo chilo, tre quarti o un chilo. Il gelataio riempie la vaschetta con i gusti richiesti, e poi, prima di chiuderla, la mette sulla bilancia e la pesa. Se il peso è in eccesso, con il cucchiaino vengono limate via alcune leccate di gelato che altrimenti il compratore avrebbe gustato vergognosamente a gratis (moto a luogo), a meno che, lo stesso compratore, sia disposto a pagare la differenza. Ora, voglio dire, le vaschette hanno un peso standard. Sono realizzate per contenere la quantità indicata. Non si ha mai la certezza matematica che il peso definitivo corrisponda esattamente a quello indicato. Ma in definitiva, di quanto può mai variare? I danni economici che le gelaterie hanno ricevuto per tutti gli anni senza bilancia, hanno creato un buco incolmabile? Il loro PIL è caduto in picchiata? Insomma, fa parte del normale rapporto di scambio: una volta la vaschetta è un po' più piena e una volta un po' più vuota. E siamo pari! Non capisco. Di certo è che la scena è davvero fastidiosa e antipatica. Quando la ragazza che prepara la vaschetta si gira e la mette sulla bilancia e poi comincia a spatolare via, ci si sente come un ladro colto sul fatto. Ah! - sembra dire - volevi mangiarti un po' di gelato a sbafo, eh? stronzetto?! Ma no... - provi a ribattere - non è così. Io volevo solo mezzo chilo di gelato al pistacchio, che piace tanto a mio figlio! Bravo - urla lei con le lacrime agli occhi - è così che educhi i pargoli? Come cresceranno i cittadini di domani con questo esempio?! Lo vedi, lo vedi - continua a sbraitare indicando verso il laboratorio - là il gelataio impasta con le mani nude! E le sue dita quasi si spezzano per il freddo! Eppure continua a mantecare il gelato. Ed ogni cucchiaino di quel gelato ha un valore inestimabile! E tu, TU - ora è in piedi sul bancone - tu invece volevi mangiarlo senza pagarlo, come se il suo lavoro non valesse nulla, vero?! No guardi! - dici ormai in ginocchio - pago! pago la differenza! Mi dica quanto le devo in più! Sono 5 centesimi. Grazie Arrivederci. Con somma tristezza ho visto che da poche settimane la bilancia è arrivata anche alla gelateria il Castello, la nuova gelateria in piazza Malatesta, di fronte alla Rocca. E' stato un colpo durissimo per gli amanti del buon gelato. Questi giovani gelatai, alfieri della qualità riminese, da noi tanto amati e apprezzati - nonostante le file lunghissime e i musi un po' lunghi - si sono convertiti al peso della vaschetta. E tra l'altro - 'sti simpaticoni - visto che le coppette piccole non si possono pesare, le fanno ora semivuote! Eccheppalle! Tenetevelo questo gelato se proprio non lo volete vendere! Torneremo al bio delirio! Otto ore di fila per una coppetta, ma almeno nessuno che la pesa!
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