Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
di stefano del 25/10/2007 @ 12:20:00, in viaggi, letto 2818 volte
Il Po ormai è diventato un’ossessione. Ricordo ancora, prima della mia iniziazione fluviale, quando lo attraversavo in macchina o in treno e lo osservavo, chiedendomi cosa realmente fosse quel lungo corso d’acqua. Mi sono sempre sentito oscuramente attratto dal grande fiume. La sua vasta mitologia mi ha conquistato fin da piccolo, quando a scuola lo presentavano come il più grande fiume italiano. L’irrazionale si è poi depositato da qualche parte nella coscienza, in attesa del viaggio che puntuale è arrivato e mi ha permesso di trasformare e dare corpo e forma a desideri rimasti per decenni fumosi e inespressi.   Ma può un viaggio sul Po esser tale senza aver visto il Delta? Sia pure a causa di terribili tempeste e le avverse volontà degli dei? Certo che no! Per questo la scorsa settimana Michele ed io siamo ripartiti per visitare il mondo ad est di Adria, un luogo mistico in cui i confini affogano tra canali, valli e pozze.  In sintonia col resto del viaggio, anche il delta è fatto di luci ed ombre, di paesaggi affascinanti e incredibili e di orribili presenze umane. Le grandi isole incastrate tra gli innumerevoli rami del Po sono per gran parte spianate e coltivate, con campi che si perdono nella foschia e tante, troppe case. Ma sopravvive, negli ultimi lembi di terra, una natura che difficilmente può essere descritta, fatta di lunghi canneti, di vasti laghi circondati da alberi e bassi cespugli, di precari camminamenti di terra che passano in mezzo ai canali. Se fossi un poeta antico pregherei le muse di darmi ispirazione, ma siccome sono solo uno scrittore ateo, farò ricorso ad un caffé energetico.  Tutto il fascino del delta sta nella sua mutevolezza. Pochi chilometri in macchina e si perde il senso dell’orientamento. Ogni volta che si è convinti di essere arrivati da qualche parte ci si deve ricredere. Acqua e terra sembrano avvoltolarsi senza soluzione di continuità. Quando si crede di essere arrivati all’ultimo lembo di sabbia, ecco che in lontananza, oltre l’abbacinante specchio d’acqua, s’intravede una lingua sottilissima e alberata. Le strade si trasformano in ponti e si salta da un’isola all’altra. Raggiungere il mare è un’impresa. Non lo si vede a Pila, tra i pescatori che raccolgono vongole e le caricano su grossi camion. Non lo si vede nella Sacca di Scardovari, ornata di palafitte e ampia, spaziosa come un piccolo mare. Lo abbiamo trovato a Boccasette, vicino alla foce del Po di Maistra, dove la terra si trasforma in sabbia bianca e il paesaggio sembra quello di una Rimini tornata alla preistoria: il mare è selvaggio, la spiaggia desolata, malinconica, bella. Dicono che il paesaggio padano sia basso e grigio, deprimente. Magari, melancolico, e comunque suggestivo. Di grigio e deprimente c’è il carattere della gente che abita qui, chiusa, schiva, spesso scostante, che non tira fuori un sorriso neanche sotto tortura. Ma per fortuna non sono luoghi densamente abitati: una volta usciti dalla folle notte di Porto Tolle, il resto sono folaghe, cormorani e aironi...
di stefano del 02/10/2007 @ 21:30:00, in viaggi, letto 1165 volte
La disposizione di Macerata dipende da un antico errore di comunicazione. Quando il demiurgo stava lavorando per la sua creazione, egli non sapeva ancora che la città sarebbe sorta su colli, colline e crinali. Il demiurgo lavorò giorno e notte dando vita ad una città che chiamò mentalmente: la perla della pianura. Quando scoprì l'amara verità, decise di non rifare il lavoro daccapo, anche perché il posto come creatore delle città del nord Europa era già stato assegnato al nipote del capo-demiurgno. Un po' indispettito, il demiurgo lasciò cadere la città che si frantumò al contatto con le asperità del terreno disponendosi in modo caotico. I viali si trasformarono in viuzze, le strade in scalinate e tutto seguì l'andamento del terreno. Quello che all'inizio pareva un dramma fu la fortuna della città e l'arma di difesa contro i nemici, che arrancavano salendo, sudando sotto il sole, e perivano infilandosi nel primo vicolo ombroso e in discesa per un lancinante attacco di reumatismi e dolori muscolari nel momento esatto in cui il sudore si gelava sul coppino. Nonostante la lunga premessa, Macerata è una bella città caotica. Per orientarmi, mentre passo da una piazza all'altra, cerco di determinare l'importanza della via. Con Garibaldi e Mazzini so di essere più vicino al centro rispetto alle vie dei fratelli Pantaleoni, che comunque non distano poi tanto da corso della Repubblica. Non c'è un monumento che cattura o una piazza che spicca per la sua bellezza, eppure tutto l'insieme di palazzi, arcate, vicoli e scalinate ha una sua magia nel disorientare e stordire. Ma quello che veramente mi ha catturato sono state una serie di vecchie insegne, e l'odore di pane per le vie. Alla fine ho anche trovato la piazza principale con cinque vie che confluivano, dalle quali entravo e uscivo come in un cartone animato di Hanna&Barbera.  Come tutte le città italiane, Macerata soffre di un gran male: le zone traffico limitato non esistono se non sui cartelli, e le macchine sono ovunque. Mi chiedo perché non studiare un modo per entrare in università direttamente in auto, e magari trasformare le aule di lezione in drive in della cultura. Ma l'aspetto più affascinante del viaggio, anche più delle colline avvolte dalle brume che fluttuavano sui campi arati, è il dialetto maceratese, con quella sfumatura carnascialesca che lo rende irresistibile. Mentre passeggiavo mi sono imbattuto in un signore al telefono con un amico o cliente. Ecco lo stralcio di conversazione:
“Vuui una mano? Eh! Ma su pregno! Vabbè, manna pure, tant è na sciapata”.
Ancora adesso non so quale interpretazione dare alla frase tra queste due: 1. Vorrei tanto aiutarti, ma anche se sono un uomo sono incinto e aspetto un figlio. Sì, mandami pure la tua benedizione perché anche Dio è sconvolto dall'accaduto (trad. di sciapata) 2. sono incasinato di lavoro ma cercherò di aiutarti.Voi che dite?
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